Qual è l’opposto di buon senso? Me lo chiedo spesso e dovrebbero chiederselo anche coloro che si ritengono riformisti, eppure scelgono di assecondare questo pasticcio di taglio orizzontale della rappresentanza parlamentare che ormai in pochi hanno ancora il coraggio di definire riforma.
Frequento i social soltanto per fini “politici”, di confronto civile con chi la pensa diversamente da me, ma recentemente, da quando è iniziata la campagna referendaria, sembra che tutti siano impazziti, come se avessero piazzati ai loro fianchi dei propulsori che imprimono la spinta verso la devastazione.
Comprendere le ragioni del “Sì” a questa amputazione della rappresentanza parlamentare è facile e, nonostante gli sforzi di alcuni costituzionalisti, di alcuni politici e di sempre meno giornalisti, si riassume in un termine semplice e facilmente veicolabile: “Tagliamo”. Puro populismo e nient’altro.
D’altra parte spiegare e soprattutto comprendere le ragioni del “No” richiede sforzo, richiede analisi, richiede la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male e, soprattutto, richiede tempo: risposte articolate e non semplici da veicolare richiedono tempi di approfondimento assolutamente diversi da quelli necessari per fare rimbalzare da una bocca all’altra (o da una tastiera all’altra) un termine semplice come “Taglio”.
Tuttavia, forse anche grazie allo sforzo quotidiano di ognuno di noi che, giorno dopo giorno, cerca di fare arrivare agli indecisi il complesso messaggio e i complessi ragionamenti sui quali si basano le ragioni del “No”, è probabile che alla fine riusciremo nell’intento di salvaguardare le nostre Istituzioni dall’attacco brutale di quanti le vogliono smantellare per sostituirle con piattaforme digitali per pilotare da remoto decisioni politiche capaci di modificare il nostro vivere quotidiano.
C’è poi una parte di italico mondo che pare essere stata colta da improvvisa amnesia tanto da cambiare, con irragionevole disinvoltura, opinioni e percorsi che fino a ieri gli sono stati abito mentale e carattere distintivo. Sto parlando naturalmente del Partito Democratico o, meglio, della dirigenza del Partito Democratico che pare essere del tutto separata dalla base dei suoi iscritti, simpatizzanti ed elettori.
Un tempo sono stato anch’io iscritto al Partito Democratico e anch’io ho provato il voltastomaco, il fastidio, la rabbia e il risentimento per gli insulti che giornalmente sono arrivati dal Movimento 5 Stelle. Poi è stato il tempo della distensione, il tempo della necessaria deposizione delle armi (dialettiche, s’intende) perché una minaccia più destruente ha fatto il proprio ingresso nella scena politica italiana. Scongiurare le elezioni anticipate è stata una mossa giusta, comprensibile, politicamente efficace anche se – in quel momento – tantissimi di noi hanno dovuto ingoiare un rospo piuttosto voluminoso. È stato fatto per il bene comune e va bene.
Matteo Renzi, nella sua brillante capacità di sintesi, ha indicato però un cammino (e a quanti gli rimproverano di non prendere posizione bisognerebbe rispondere che, se si avesse un minimo di intuito, la posizione l’ha presa). Ha detto, infatti, sublimando alla perfezione il sentire comune del popolo riformista che “Non vogliamo morire leghisti, ma nemmeno vivere da grillini”. Perfetto, sintetico e indicativo. Nient’altro da aggiungere.

Io non ho dimenticato le accuse della senatrice Paola Taverna. E non dovrebbe dimenticarle nemmeno il popolo dei riformisti perché ognuno di noi è stato bersaglio dei suoi insulti, delle sue provocazioni, delle sue menzogne. Direte: non è stata l’unica! È vero. Assieme a lei anche la Lega di Salvini (come dimenticare Lucia Borgonzoni con la sua maglietta?). Eppure c’è chi pensa ancora, a meno di due settimane dal voto referendario, di potersi accodare alla linea populista di questa gente e di potere essere strumento di scompaginamento dell’assetto 5 stelle votando Sì. Lasciamo perdere! È meglio!
In queste ore si sta celebrando una sorta di direzione del Partito Democratico per fingere che il Sì referendario sia condiviso. Fesserie. Sciocchezze. Anche se il segretario Zingaretti ha deciso di ritirare tutte le querele sporte contro il M5s, il popolo democratico (ne ho fatto parte, so di cosa parlo!) non se lo sogna nemmeno di dimenticare le accuse infamanti e, dimostrando maggiore intuito politico, non si sogna nemmeno di assecondare la richiesta del Sì soltanto per garantire la sopravvivenza di questo governo (ammesso che possa esserci una crisi di governo se dovesse essere rigettata l’amputazione della democrazia).
Ma come possiamo soltanto immaginare, noi che siamo stati e siamo riformisti, noi che abbiamo condiviso la visione di Stato moderno al quale avremmo approdato se quella riforma (quella sì che sarebbe stata una riforma!) fosse stata sostenuta dagli elettori nel 2016, come possiamo noi credere che questa amputazione possa migliorare la vita delle nostre istituzioni? E quando leggo sui social (Facebook, Instagram, Twitter; li frequento tutti) di sedicenti riformisti che scelgono di votare il populismo – credetemi! – mi viene il voltastomaco!
L’appoggio parlamentare a questa amputazione della democrazia è stato dato esclusivamente per consentire la nascita del governo Conte 2 (chi non ci credesse riascolti le parole proprio di Paola Taverna!) ed è stato parte di uno scambio voluto dai 5 stelle per consentila. E a questo dovremmo fermarci, facendo di tutto per rigettare questa visione della politica da caminetto (Lega o PD è lo stesso, purché governiamo) e, se possibile, ritrovando la nostra dignità riformista opponendoci al populismo.
A meno che non si voglia vivere da grillini.