La scorsa settimana, più esattamente il 1º febbraio, è stato presentato il rapporto Svimez in collaborazione con Save the Children sul divario esistente già oggi nel sistema di cure tra Nord e Sud dell’Italia. Il rapporto, intitolato “Due Paesi, due cure” mette in evidenza come, in Italia, il Meridione sia fortemente penalizzato sotto il profilo sanitario: minore la spesa pubblica per la sanità al Sud; servizi di prevenzione parecchio più carenti al Sud rispetto al Nord; lunghe distanze da percorrere per ricevere le cure, soprattutto per le malattie più gravi. In altre parole, curarsi per i cittadini meridionali, già oggi, prima ancora che sia approvata la riforma in senso federale (che oggi tutti chiamano Autonomia Differenziata), è un percorso assai difficile. E lo è ancora di più per i malati di malattie gravi, come quelle oncologiche: un meridionale su cinque, il 22%, sceglie di curarsi al Nord, nelle strutture sanitarie del Nord.
Proviamo, però, a circostanziare con i numeri alcune difformità esistenti nel nostro Paese. In Lombardia, secondo i dati ISTAT, i cittadini residenti sono 9.943.000 e questi cittadini hanno a disposizione 44.880 posti letto che, facendo i dovuti calcoli, significano 4,5 posti letto ogni mille abitanti lombardi. In Campania, sempre secondo gli stessi dati, sono residenti 5.801.690 cittadini e sono presenti 19.000 posti letto che, facendo le proporzioni, danno 3,27 posti letto ogni mille abitanti. In Emilia-Romagna risiedono 4.459.477 cittadini e i posti letto a disposizione sono 16.327 che, rapportati alla popolazione residente, danno 3,66 posti per mille abitanti; in Sicilia la popolazione residente è di 4.833.329 cittadini e i posti letto disponibili sono 14.077, cioè 2,91 ogni mille abitanti. Ovviamente, se rapportiamo il numero di posti letto ospedalieri in Italia, che sono 184.724 e li rapportiamo all’intera massa residente, otteniamo, come media, 3,1 posti letto ogni mille abitanti, ma mai come in questo caso il paradosso statistico del pollo (io ne mangio uno intero e il mio vicino niente, ma statisticamente ne mangiamo mezzo l’uno) è stato più calzante!
Come si vede, quindi, c’è un’ampia differenza tra le Regioni meridionali e quelle settentrionali nella distribuzione dei posti letto ospedalieri con la Lombardia o l’Emilia-Romagna o lo stesso Veneto, che negli anni hanno investito in strutture sanitarie, che hanno un numero di posti letto disponibili superiore alla media nazionale e le Regioni del Sud e del profondo Sud che ce li hanno ben al di sotto della media. Inoltre, questo rapporto di posti letto per popolazione, anche se considerato come dato nazionale, dunque di 3,1 posti ogni 1.000 abitanti, è comunque di molto inferiore a quello di altri Paesi. Giusto per fare qualche esempio, in Giappone ci sono quasi 13 posti letto per 1.000 abitanti; in Corea del Sud che ne sono 12,5 e in Russia 8. E sono molti di più anche in Germania, con una media nazionale più che doppia rispetto a quella italiana, cioè 7,94 ogni 1.000 abitanti rispetto ai nostri 3,1.
Ma perché ci sono così tante differenze nella distribuzione di posti letto ospedalieri tra Nord e Sud della nostra penisola? Innanzi tutto, bisogna considerare che in Lombardia o in Emilia-Romagna, oltre alla popolazione residente “fissa”, c’è una discreta quota di cittadini in transito sia per motivi di lavoro o studio, ma anche per ricevere cure e assistenza sanitaria carente nelle proprie Regioni di residenza. Il gran numero di strutture sanitarie presenti in queste Regioni, poi, è finalizzato alla vendita di salute alle altre Regioni attraverso il fenomeno della migrazione sanitaria. Inoltre, avendo un così cospicuo numero di posti letto e, di conseguenza, un elevato numero di strutture sanitarie – molte delle quali di eccellenza – la maggior parte delle Regioni del Nord, pur senza splafonare il famigerato “tetto di spesa per il personale” si sono accaparrate negli anni moltissimi medici e moltissimi infermieri che, un po’ per i piani di rientro cui sono state sottoposte le Regioni meridionali, un po’ per le migliori condizioni lavorative, un po’ per il ridotto numero di ospedali di piccole dimensioni al Nord con relativo aumento di ospedali di dimensioni più grandi dov’è meglio tutelata sia l’utenza che il professionista, hanno preferito (o, talvolta, sono stati costretti) migrare per lavoro da Sud verso Nord.
Ma torniamo al rapporto Svimez. Le considerazioni che sono emerse fotografano molto nitidamente un intollerabile divario delle condizioni sanitarie tra Sud e Nord dell’Italia; divari che interessano sia le condizioni territoriali e, dunque, per esempio, la dissimile distribuzione delle reti viarie, sia la qualità dei servizi sanitari regionali. E sono divari che si evidenziano già a partire dal momento della nascita. Si consideri che, secondo gli ultimi dati ISTAT, la mortalità infantile (cioè la morte che sopravviene entro il primo anno di vita) è di 1,8 ogni mille nati vivi in Toscana, ma è quasi doppio in Sicilia, dove tocca la punta del 3,3 ogni mille nati vivi e più che doppio in Calabria dov’è 3,9 ogni mille nati vivi.
Anche per le cure oncologiche i numeri sono impietosi. La Lombardia, per esempio, ha attratto nelle proprie strutture sanitarie (nel solo 2022) 8.287 pazienti provenienti da altre Regioni, il Veneto ne ha attratti 4.146, il Lazio 3.763, la Toscana 2.520, l’Emilia-Romagna 1.992. Dalla Calabria, nel 2022, sono partiti per curarsi in una Regione del Nord 3.100 cittadini, dalla Campania 3.302, dalla Puglia 2.249, dalla Sicilia 2.618. E parliamo del solo anno 2022! Il problema è che tutte queste Regioni che subiscono la migrazione sanitaria – e sono tutte Regioni meridionali – devono corrispondere alle Regioni che vendono salute, il corrispettivo del costo di ognuno di questi ricoveri. E questi soldi, ovviamente, vengono meno a tutti quei cittadini che, per mancanza di risorse o per insufficiente rete familiare di sostegno o per altre ragioni, decidono di restare nella propria Regione di residenza e non partire per curarsi. Le stesse cifre che abbiamo snocciolato in modo grezzo, se espresse in termini percentuali, fanno ancora più paura: la Calabria subisce una migrazione oncologica per il 42,9% dei casi; la Campania per il 26,9%; la Basilicata per il 25,0%; la Sicilia per il 16,5%. E questo significa che, ognuna di queste Regioni, se non dovesse pagare i costi della propria inefficienza e, allo specchio, degli investimenti fatti dalle Regioni settentrionali in strutture sanitarie con i finanziamenti provenienti dalla fiscalità generale, potrebbe tranquillamente finanziare e mantenere due grossi ospedali ciascuna!
È ovvio, e il rapporto Svimez lo chiarisce in modo inequivocabile, che l’Autonomia Differenziata aggraverà moltissimo ognuno di questi divari, dalla mortalità infantile alla migrazione oncologica e questo perché, con il sistema che è già stato approvato in Senato e che molto presto andrà in discussione alla Camera, ogni Regione potrà richiedere il trasferimento di competenze finanziarie, di risorse umane, di regolamentazione dell’attività libero-professionale, di accesso alle scuole di specializzazione, ma anche di remunerazione del personale o di politiche tariffarie.
In altre parole, così come ha detto il Direttore Generale della Svimez, l’autonomia differenziata determinerebbe “ulteriori ampliamenti dei divari territoriali di salute e una conseguente crescita della mobilità di cura”. Anche Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, è dello stesso avviso; ha dichiarato, infatti: «Il nostro Sistema Sanitario Nazionale è ormai profondamente indebolito e segnato da inaccettabili diseguaglianze regionali. E con l’attuazione delle maggiori autonomie in sanità si legittimerà normativamente la “frattura strutturale” Nord-Sud: il meridione sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord, minando l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Uno scenario già evidente: su 14 Regioni adempienti ai Livelli Essenziali di Assistenza solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica mentre la fuga per curarsi verso il Nord vale 4,25 miliardi euro».
I dati forniti dal report di Svimez, ci danno, dunque, l’immagine di un Paese spaccato a metà nell’accesso alle cure sanitarie ed è una immagine che l’Autonomia Differenziata farà inevitabilmente peggiorare.
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