Nell’edizione “locale” di Repubblica di domenica 7 agosto 2022 c’è un titolo che dovrebbe attirare l’attenzione sia del lettore, quanto, più in generale, dei cittadini siciliani. Titolo: La Sanità tra assunzioni e cantieri. Il business elettorale vale 9 miliardi.

L’articolo in questione affronta il tema della sanità regionale siciliana che, come sappiamo, è alla canna del gas. Nelle primissime righe dell’articolo firmato da C.R. (con le iniziali) si legge infatti di una particolare “considerazione” rivolta da Totò Cuffaro alla sanità privata regionale. Con una nota inoltrata il 30 luglio, infatti, egli promette attenzione alle cliniche private isolane. La promessa, si legge nell’articolo, fa perno sulle proposte dell’Assessore Ruggero Razza avanzate nell’ultima giunta regionale che, peraltro, fanno seguito agli accordi dell’8 luglio; con tale iniziativa il finanziamento della sanità privata è passato da 435 a 470 milioni di euro l’anno, ovvero con un differenziale di +35 milioni di euro. Per chiarezza: tale incremento di finanziamento non piove dal cielo come una manna, ma sono soldi sottratti alla sanità pubblica in favore di quella privata.

Ci sono dei tecnicismi che sarebbe noioso spiegare in questa sede (chi vorrà, potrà approfondire nella pubblicazione data alle stampe e che sarà in libreria a partire dal 29 agosto), ma alcuni elementi devono necessariamente essere illustrati per comprendere l’anomalia tanto degli accordi dell’Assessore Razza con la Sanità Privata, quanto delle promesse formulate da Cuffaro.

Partiamo dalla primissima anomalia della Regione Siciliana.
Nel 2009 l’Assessore alla Sanità siciliana, Massimo Russo, sotto il governo guidato da Raffaele Lombardo, ha partorito quella che non sarebbe ingeneroso definire la peggiore riforma del Servizio Sanitario Regionale attraverso la quale, per farla breve, ha cancellato l’autonomia delle Aziende Ospedaliere accorpandole, con limitate eccezioni, dentro le enormi (per dimensioni) Aziende Sanitarie Provinciali, determinando, nei fatti, il definanziamento del Servizio Pubblico siciliano: il passaggio da Ospedale-Azienda, infatti, ha cambiato il sistema di remunerazione delle strutture ospedaliere che sono passate dal finanziamento “a DRG”, dunque basato sul livello, sulla qualità e sulla complessità delle prestazioni erogate, al finanziamento “per quota capitaria”. Uno degli effetti di tale pessima riforma è stata la bassa qualità percepita dai siciliani che è certamente tra le cause della crescita della migrazione sanitaria, aumentata di 10 milioni di euro l’anno (passa da 202.201.491 euro del 2008 a 212.847265 euro nel 2018). In altre parole, anche a causa della perdita della competitività degli ospedali-azienda che puntano a differenziarsi per la complessità delle prestazioni erogate, dunque sulla qualità, i siciliani hanno scelto negli ultimi dieci anni di curarsi fuori dalla propria regione (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, ecc.). Questo ha determinato un considerevole flusso di danaro dei siciliani verso le casse delle altre regioni. E a nulla valgono le dichiarazioni di Ruggero Razza della riduzione della migrazione sanitaria negli ultimi due anni perché il dato è inquinato dai blocchi che il Paese ha subito a causa dell’epidemia CoViD!

La seconda “anomalia” della sanità siciliana è il rapporto tra il pubblico e il privato. Per semplicità espositiva diciamo che tale rapporto può svilupparsi in senso complementare (il pubblico “compra” dal privato pacchetti di prestazioni che non è in grado o sarebbe troppo oneroso erogare) oppure in senso concorrenziale (il privato e il pubblico competono per le stesse prestazioni come in un libero mercato). Inutile evidenziare come, in un regime di convenzione, ovvero quando è unica la borsa dalla quale prelevare, ovvero quella pubblica che paga anche le prestazioni private, il sistema complementare determini un rapporto sano tra pubblico e privato, mentre quello concorrenziale sia (almeno a giudizio di chi scrive) assolutamente da evitare in quanto la sanità privata intanto può “scegliere” la fetta di assistenza da erogare e, comunque, è affrancata da tutti quei costi (sanità veterinaria, medicina dei servizi, medicina scolastica, medicina preventiva, emergenza, ecc.) obbligatori per la sanità pubblica. E in Sicilia, giusto per non farci mancare nulla, è stato privilegiato il rapporto concorrenziale!

Per correttezza è necessario dire che né gli assessori delle giunte regionali di centro-sinistra (Borsellino e Gucciardi), né di quelle di centro-destra (Razza) hanno avuto la volontà di cambiare l’assetto regionale né in termini organizzativi, né nel rapporto pubblico/privato per almeno tentare di correggere lo scempio fatto da Russo (oggi in corsa addirittura per la Presidenza della Regione siciliana nella compagine di centrodestra) che, incredibilmente, è tutt’ora ritenuto un “esperto” di organizzazione sanitaria. E ci sarebbe da chiedersi “da chi?”.

Detto questo, seppur in modo assolutamente sintetico, cerchiamo di capire qualcosa di più sulla vicenda del finanziamento alla sanità privata o, meglio, alle cliniche private fatto da Ruggero Razza e salutato con la nota di raccomandazione da Totò Cuffaro.

Il centro-destra in Sicilia cerca una donna da candidare alla Presidenza dell’ARS per bilanciare la candidatura di Caterina Chinnici. Apro una parentesi che mi sembra d’obbligo anche se so in anticipo che, per assecondare il politically correct, questa parentesi farei meglio a evitarla; tuttavia, siccome reputo che le persone davvero libere debbano esprimersi secondo le proprie convinzioni, la scrivo lo stesso. Personalmente ritengo ridicolo valutare idonea una persona a ricoprire ruoli, soprattutto ruoli politici, soltanto in base al sesso e, a mio avviso, le candidature dovrebbero essere “pesate” su altro (curriculum, idee, programmi) e non banalmente sul sesso anagrafico. Parentesi chiusa.

Dicevamo, dunque, che il centrodestra è alla ricerca di una donna. I nomi che si sono affacciati nella rosa delle “candidabili”, al momento, sembrano essere soltanto due: Stefania Prestigiacomo e Barbara Cittadini. Chi sia la prima, penso, sia noto a tutti (miss Parlamento!). La seconda personalità è certamente meno conosciuta. Barbara Cittadini è la presidente nazionale AIOP (Associazione Nazionale Ospedalità Privata), nonché moglie di Salvatore Misuraca, meglio conosciuto come Dore Misuraca ed è Presidente di una delle più importanti cliniche private della Sicilia Occidentale, la clinica Candela.

D’altra parte, Totò Cuffaro è politicamente vicino a quella parte di centrodestra per cui, naturalmente, si impegna e promette attenzioni per le strutture private. Non dice Cuffaro che in Sicilia le cliniche private convenzionate sono 30 volte più numerose di quelle toscane, dove il servizio pubblico ha adottato il criterio complementare nei rapporti con la sanità privata e, a occhio, mi sembrerebbe che in Toscana le cose vadano leggermente meglio che in Sicilia.

Mi avvio alla conclusione per evitare di annoiare chi legge. Un programma di governo che sia “di sinistra” (e lo scrivo in questo modo perché spesso dicono a chi si riconosce in Renzi e in Italia Viva di sforzarsi di “fare qualcosa di sinistra”) dovrebbe seriamente prendere in considerazione due importanti capitoli della vita dei cittadini in merito ai servizi sanitari: a livello nazionale immaginare un Piano industriale per la salute che parta dalla programmazione degli accessi all’Università fino alla misura del fabbisogno di personale, e, a livello regionale, cancellare la pessima riforma Russo per tornare a esprimere qualità. Magari, se possibile, partendo proprio dal rapporto tra pubblico e privato nella salute pubblica e riorganizzando le strutture ospedaliere in modo da staccarle dalle AUSL utilizzando la formula degli ospedali riuniti, raggruppandoli per prossimità ed evitando ripetizioni di reparti ospedalieri nello stesso ospedale, con notevole risparmio di spese di gestione e di personale, senza necessità di incrementare la quota di finanziamento assegnata, anzi determinando un utilizzo virtuoso a tutto beneficio dei cittadini.

Fare “cose di sinistra”, dunque, non è né aumentare le tasse, né livellare i salari, né elargire elemosine di Stato. Fare “cose di sinistra” è trovare soluzioni ragionate e ragionevoli nell’interesse dei cittadini. E si legge Riformismo!

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