Martedì 23 gennaio 2023 il Senato ha approvato il disegno di legge n. 615, meglio noto come legge Calderoli, ma anche come legge spacca-Italia. Il testo assegna, alle Regioni che ne facciano richiesta, autonomia sui ben 23 attività, tra le quali l’istruzione e la sanità.
Non entrerò nel merito di tutte le attività che possono essere assegnate al controllo regionale, ma vorrei fare assieme a voi alcune riflessioni sulle ricadute che l’Autonomia Differenziata, così com’è stata disegnata dal disegno di legge, potrebbe avere sul Sistema Sanitario Nazionale, nonostante esso sia già stato in misura pressoché totale assegnato al controllo regionale già dal 2001, allorché la modifica del Titolo quinto della Costituzione ha devoluto le competenze in materia di salute pubblica dallo Stato alle Regioni.
Gli effetti devastanti della devoluzione sul nostro Sistema Sanitario sono sotto gli occhi di tutti: pur salvaguardando i livelli essenziali di assistenza (i cosiddetti LEA) che sono stabiliti dal Ministero, ogni Regione amministra e gestisce la salute dei propri cittadini in modo diverso dalle altre con interventi diversi in diversi ambiti: dal rapporto tra sanità pubblica e sanità privata, fino all’edilizia sanitaria o alle attività sociosanitarie o alle Reti ospedaliere. Se questo in alcune Regioni ha dato esiti positivi, con interventi che hanno talvolta migliorato l’assistenza pubblica, anche in virtù di un corretto rapporto pubblico-privato, in molte altre Regioni la devoluzione ha causato un gravissimo peggioramento dell’assistenza sanitaria.
La chiave di comprensione dei danni che potrebbe innescare l’applicazione della autonomia differenziata è nel finanziamento dei LEP, i cosiddetti Livelli Essenziali delle Prestazioni che, nel disegno di legge Calderoli, è rimandato a tempi futuri. Tuttavia, un argomento così importante, così decisivo per la vita dei cittadini non può essere affidato né alle fantasie degli amministratori regionali, né alla loro buona volontà di finanziare adeguatamente tutti quegli interventi che dovrebbero in qualche misura eliminare le differenze territoriali che oggi ci sono da Nord a Sud e da Est a Ovest del nostro Paese.
Il finanziamento dei LEP, dunque, rappresenta il nucleo fondamentale e irrinunciabile per potere garantire a tutti i cittadini italiani lo stesso trattamento sanitario a prescindere dal luogo di residenza, soprattutto in termini di accesso alle cure. Ma che cosa si intende per Livelli Essenziali delle Prestazioni? Come possiamo definirli affinché sia chiara l’importanza che rivestono in sanità?
Partiamo dalla definizione. I LEP sono dei livelli, definiti appunto essenziali che riguardano diritti civili e sociali che devono essere uguali per tutti i cittadini e che devono, di conseguenza, essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. In moltissimi casi la definizione dei LEP è implicita nelle norme già esistenti. Per fare un esempio ogni comune italiano deve necessariamente avere una propria anagrafe dei cittadini residenti in quanto tale servizio è essenziale per la fruizione di diritti e servizi fondamentali per la cittadinanza e quindi non sarebbe accettabile se in alcuni territori non venisse erogato. Dunque, ci sono già un’ampia serie di ambiti in cui lo Stato ha già definito, ha affidato o ha delegato agli enti territoriali determinati compiti e questi sono tenuti a garantire il servizio. Tuttavia, ci sono una molteplicità di settori per i quali non sono stati individuati i livelli del servizio da garantire e, pertanto, tali servizi e tali prestazioni sono erogati in modo molto disomogeneo sul territorio, quali, per esempio, i servizi sociali o educativi. E questo nonostante la Costituzione abbia affidato allo Stato la competenza esclusiva nella definizione dei LEP. L’articolo 117 della Costituzione, infatti, recita che lo Stato ha legislazione esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Compito dello Stato, tuttavia, non è soltanto definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni giacché deve anche garantire agli enti territoriali, dunque ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni, le risorse sufficienti per poterli realizzare ed erogare, soprattutto a quegli enti territoriali con bassa capacità fiscale. Questo perché, in mancanza del finanziamento statale, soltanto quegli enti territoriali con maggiori risorse potrebbero garantire i servizi previsti e questo andrebbe contro il dettato costituzionale dell’articolo 3 che dice “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” E dice anche che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Dunque, la definizione dei LEP rappresenta uno snodo cruciale per assicurare parità di accesso ai servizi a tutti i cittadini e devono essere definiti assecondando due esigenze fondamentali: Intanto vanno definiti per ciascun ambito, siano essi salute, istruzione, trasporti, assistenza sociale, standard adeguati di prestazioni e di servizi che siano garantiti in modo uniforme in tutto il Paese; e poi è necessario garantire a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni adeguate risorse per finanziare tali standard. Infatti, non basta definire soglie adeguate per tali servizi, ma bisogna anche verificare che le risorse a disposizione degli enti periferici siano sufficienti a garantirle.
Facciamo qualche esempio per renderci meglio conto della complessità del tema che stiamo affrontando. In Emilia-Romagna i comuni che offrono servizi per la prima infanzia sfiorano il 90%; in Calabria sono appena il 19%. È ovvio che tale disparità di fruizione del servizio si ripercuote, per esempio, sull’occupazione femminile. Ancora, lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale in gran parte delle Regioni settentrionali è almeno dieci volte maggiore rispetto a quelle meridionali e questo si ripercuote, per esempio, sulla necessità di un lavoratore meridionale di utilizzare il proprio mezzo per recarsi a lavoro con costi maggiori, con maggiore inquinamento ambientale e maggiori rischi. Del resto, lo sviluppo della rete viaria è anche alla base della mobilità sanitaria (ed è questo l’aspetto che ci interessa enfatizzare in questa sede) in quanto per alcuni cittadini è più semplice raggiungere i centri di cura o essere raggiunti dai servizi sociosanitari.
L’argomento dei LEP che non sono finanziati che sono, nel disegno di legge Calderoli, rimandati a futura valutazione, dunque, è essenziale per comprendere quanto l’Autonomia Differenziata possa creare importanti difformità nell’assistenza sanitaria tra i diversi cittadini italiani. Qui non si tratta di fare del banale sindacalismo territoriale, come lo ha definito il senatore Borghi, ma affrontare la questione della parità in modo serio. Senza considerare che, poiché ci sono moltissimi settori per i quali i LEP non sono stati ancora definiti, settori che vanno come abbiamo detto, dai servizi sociali al trasporto, la riforma Calderoli rischia di essere incostituzionale in quanto andrebbe a riformare aspetti di legislazione concorrente per i quali non sono stati ancora definiti e finanziati i LEP o, nella migliore delle ipotesi, una scatola vuota. Non sono un costituzionalista, ma – a grandi linee – sembra proprio che l’Autonomia Differenziata sia il primo passo per frammentare ulteriormente l’assistenza sanitaria in Italia. E questo senza ancora immaginare una eventuale ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale sulla base della spesa storica che andrebbe, per come fortemente voluto dalla Lega, ad assegnare maggiori risorse a quelle Regioni che in passato hanno speso di più in sanità in quanto maggiormente finanziate. Insomma, un circolo vizioso che vedrebbe le Regioni con minore capacità fiscale indietreggiare nell’assistenza sanitaria e le Regioni più ricche non solo essere meglio finanziate, ma essere addirittura sovrafinanziate a causa del rimborso da parte delle Regioni con minore capacità fiscale dovuto al fenomeno della migrazione sanitaria dei cittadini bisognosi di cure che, per la risoluzione dei propri problemi, sarebbero costretti a spostarsi da Sud verso Nord.
Insomma, uno scenario davvero penoso e cupo.
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