«La legge per gli amici si interpreta, per i nemici si applica». Probabilmente questa è la massima che meglio definisce il comportamento editoriale di Marco Travaglio e di tutta la compagine giustizialista del Movimento 5 stelle, ispirata alla visione di Stato di Polizia.
Il “giustizialista” Travaglio (non a torto definito da Piero Sansonetti il vero Ministro della Giustizia) è, infatti, particolarmente tenero nei confronti dei suoi protetti e spietatamente severo in quelli contro i suoi avversari.
Conosciamo tutti molto bene la linea editoriale di Travaglio, la linea ideale di Davigo e la posizione giustizialista di gran parte del Movimento 5 Stelle: “un imputato assolto non è un innocente, ma un furfante che l’ha fatta franca”!
Su questa linea, per anni, abbiamo tutti letto fiumi di parole pubblicati da “Il Fatto Quotidiano” su innumerevoli politici (a qualsiasi livello) indagati e sbattuti scandalisticamente in prima pagina per dimostrare la corruzione del sistema. Al momento della loro assoluzione, poi, piccole, quasi invisibili comunicazioni relegate nelle pagine più interne della “Pravda” 5 stelle, organo ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia e del Movimento.
Marco Travaglio, adesso, ha due figure importanti da difendere: Chiara Appendino e Piercamillo Davigo. La prima si è autosospesa dal Movimento 5 Stelle e ha deciso di non ricandidarsi al Comune di Torino, ufficialmente per coerenza giacché condannata per falso ideologico, anche se, probabilmente, non si candida in quanto teme il flop elettorale. Il secondo, invece, è in scadenza dal CSM per raggiunti limiti di età e può, ovviamente, beneficiare delle indulgenti parole del giornale di Travaglio
Ora, nonostante i toni lievi e giustificativi di Travaglio nei confronti della Appendino (troppo onesta e perciò perseguita: questa è la conclusione del direttore del “Fatto”), la questione è tutta interna ai 5 stelle: starà a loro decidere cosa fare e – è possibile – forse accoglieranno l’invito di Travaglio e derogare sul reato commesso in quanto giudicato “lieve” dal “Fatto”
Su Davigo, al contrario, la questione è parecchio ingarbugliata. Davigo, infatti, è uno dei più noti magistrati italiani che ha avuto per anni e per una considerevole parte della propria carriera, un ruolo di primo piano nelle (giuste) battaglie per affermare l’iniquità delle leggi “ad personam”.
Successivamente è divenuto il simbolo e l’ispiratore del giustizialismo e della visione di Stato di Polizia nel quale conferire pieni poteri ai PM. Sulla sua linea giustizialista, sull’idea che i politici siano tutti corrotti (per definizione) è stata costruita la prevalente narrazione pentastellata; narrazione falsa, ma vincente.
Il 20 ottobre Piercamillo Davigo compirà 70 anni e dovrà essere posto in quiescenza e si conseguenza, a normativa vigente, estromesso dal CSM del quale è stato per molti anni consigliere. Molte le richieste di deroghe: prima al pensionamento (con emendamenti inseriti nei decreti emergenza CoViD, ritenuti irricevibili) e, più di recente, ai regolamenti del CSM che escludono dall’organo di autogoverno i magistrati in pensione.
Il 19 ottobre prossimo, alla vigilia del suo settantesimo compleanno, sapremo quale sarà il destino del magistrato più popolare d’Italia; la decisione sarà presa da un “plenum” straordinario del Consiglio Superiore della Magistratura.
Personalmente ritengo che le leggi, i regolamenti devono essere uguali per tutti i cittadini e le violazioni (o le deroghe) devono essere ritenute inaccettabili per chiunque altrimenti non ci sarebbero differenze tra un qualsiasi delinquente e un privilegiato che riceve la grazia di una deroga.