Avete mai fatto un viaggio dalla Sicilia verso l’Italia continentale o viceversa? L’avete fatto in piena estate, in periodo di ferie oppure a ridosso delle grandi festività (Natale, Capodanno, Pasqua)?
Bene, se avete avuto modo di vivere questa esperienza, sapete di che cosa ci accingiamo a parlare; o, almeno, potete intuire una parte del discorso che vorrei sviluppare.

Qualche settimana fa, per ragioni di lavoro, mi sono trovato in una delle zone della Sicilia con la più vasta, importante e conosciuta produzione di agrumi. Essendo la mia prima volta in quelle zone, mi hanno fatto visitare uno dei tanti stabilimenti di stoccaggio e confezionamento di arance da dove partono gli autoarticolati refrigerati che trasportano svariati quintali di agrumi verso i maggiori mercati dell’Italia e dell’Europa.

Ho chiesto in quella circostanza al mio Cicerone quale fosse il percorso che i mezzi pesanti avrebbero fatto; mi è stata data una descrizione che mi ha in parte imbarazzato e in parte infastidito: gli autoarticolati (i T.I.R., per intenderci), una volta partiti e attraversata tutta la Sicilia, fino a Messina, avrebbero atteso il turno per l’imbarco sui traghetti per Villa San Giovanni e, da lì, avrebbero raggiunto una stazione di stoccaggio intermedia, da dove i colli di agrumi sarebbero stati imbarcati sui treni ad alta velocità per raggiungere i mercati di mezza Europa, Italia compresa ovviamente. Mi ha inoltre precisato che, in caso di incidente o di avaria del mezzo con alterazione della temperatura di trasporto, l’intera spedizione sarebbe stata “bruciata” con perdita tanto della merce quanto del guadagno.

In quell’occasione ho provato a immaginare quanto diversa avrebbe potuto essere la condizione dei tanti produttori agrumicoli (ma non solo) se fosse stato possibile un collegamento più rapido e più efficiente con il resto dell’Europa. E ho provato a immaginare anche quali ricadute sulla produttività industriale siciliana tali interventi avrebbero potuto avere: dalle alte tecnologie al turismo, dall’agricoltura all’industria pesante, passando per la gestione dei flussi migratori, i vantaggi economici, i vantaggi sui posti di lavoro, i vantaggi per la tanto discussa (spesso inutilmente discussa) ripresa del Sud sarebbero concreti e rapidi.

La questione del Ponte sullo Stretto di Messina è cruciale per lo sviluppo economico e industriale della Sicilia; non è possibile immaginare migliore soluzione, anche nell’ambito della tanto vessata questione ambientale: l’impatto dei treni ad alta velocità, infatti, tra i mezzi di trasporto terrestri, è quello che pesa meno sull’ambiente.

E poi si provi a fare il calcolo dei tempi necessari per attraversare via mare i pochi chilometri dello Stretto: per percorrere quattro chilometri di strada diritta, a una velocità media di 60 Km/h sarebbero necessari circa dieci minuti; si provi, adesso, a confrontare questo tempo con quello necessario (tra fila, biglietteria, tempi di imbarco, traversata, ecc.) per coprire la stessa distanza via mare. Neanche si può fare il paragone!

Certo, si potrebbe pensare a sviluppare o potenziare il trasporto marittimo, ma per i beni deperibili e per alcuni prodotti industriali sono necessarie soluzioni “veloci” per gli spostamenti.

Davanti a tutto questo non ho potuto fare a meno di chiedermi a chi il ponte sullo Stretto possa dare fastidio. Escludendo (per l’ovvietà della risposta) le due o tre società di trasporto marittimo che fanno la spola tra Villa San Giovanni e Messina, verosimilmente diverse realtà, isolane ed extra-isolane, potrebbero (a ben riflettere) subire nocumento dal collegamento efficiente della Sicilia con l’Italia continentale.

Innanzi tutto bisognerebbe considerare alcuni territori italiani (per esempio la Puglia o la Campania, competitor diretti della Sicilia) nei quali l’agricoltura è volano dell’economia; poi bisognerebbe considerare altri territori italiani (Lombardia, Piemonte, Veneto) nei quali l’industria, soprattutto per ragioni di prossimità con l’Europa, ha avuto sostegno e sviluppo; ancora non si possono ignorare i flussi turistici che sarebbero enormemente potenziati presumibilmente a danno di altre economie continentali che, nonostante manchino della bellezza e della ricchezza tanto di luoghi quanto di cultura della Sicilia, hanno mantenuto (e mantengono) il primato turistico; infine non si possono ignorare tutti coloro che nutrono il proprio vivaio (elettorale e non solo) grazie alla depressione economica del meridione e della Sicilia in particolare.

È evidente che il ponte sullo Stretto di Messina, sebbene sia un vantaggio enorme per l’economia isolana, sarebbe di sicuro danno per altre realtà italiane per cui è diventato più semplice raccontare la sempre vincente balla dell’infiltrazione mafiosa o della mancanza di altre infrastrutture (strade, autostrade, ferrovie) che sarebbero più urgenti rispetto al ponte sullo Stretto. È vero il contrario, però! La realizzazione del ponte sullo Stretto avrebbe come immediata ricaduta lo sviluppo infrastrutturale (a partire dalla continuità ferroviaria) che al momento, in mancanza di un collegamento diretto della Sicilia con il resto d’Italia, è costantemente superato da impeghi alternativi (e non sempre idonei) dei finanziamenti pubblici.

Il Ponte sullo Stretto è l’occasione che dovremmo sfruttare per lo sviluppo concreto e rapido della Sicilia.
Chi si oppone per motivi ideologici probabilmente non ha ben chiaro il quadro d’insieme della questione.
Oppure è connivente.

Un pensiero su “Del Ponte sullo Stretto e altre considerazioni”
  1. Il ponte sullo stretto deve diventare il simbolo ed il Manifesto di un vero, convinto e coraggioso programma polìtico econòmico e socio cultural e che affronti la “questione meridionale” a 360 gradi nell’ interesse di tutto il Paese. La forza polìtica che sapra’ intestarsi nel modo giusto questa battaglia potrà avere un prevedibile consenso non solo dei meridionali.

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