Enrico Letta da poche ore è stato acclamato segretario del Partito Democratico. La notizia ha dominato il mondo dell’informazione già da una settimana e il popolo “Dem” sembra entusiasta per il successo ottenuto da Letta grazie all’indicazione fornita dai “notabili” del PD.

La base “Dem”, in particolare, è giubilante perché – si legge nei vari profili social dei suoi sostenitori – Enrico Letta saprà finalmente imprimere una svolta “di sinistra” al Partito Democratico, intendendo, ovviamente, che la svolta “di sinistra” debba essere in senso (neo) “comunista”.

La verità, secondo me che scrivo queste poche note, potrebbe rivelarsi una mezza delusione per tutti: Il programma che Enrico Letta ha esposto negli oltre 60 minuti di relazione, dei quali almeno i primi 20 sono stati espressione di misurata demagogia, sono sembrati pieni di buoni propositi, ma davvero scarsi di contenuti programmatici. Chi potrebbe, infatti, non dirsi riformista o progressista visto che Letta si accinge a guidare il Partito che ha fatto del Progressismo e del Riformismo la propria dottrina, il proprio schema ideologico?

Non sono mancate – ce ne siamo resi conto tutti quelli che l’hanno ascoltato – i riferimenti alla riunione del centrosinistra sotto un’unica bandiera ideale, ma l’ampio consenso ricevuto – sostanzialmente l’unanimità – non lasciano presagire nulla di positivo.

Resta, peraltro, inchiarita (o non del tutto chiarita) la posizione nei confronti del Movimento 5 Stelle: non è sufficiente dichiarare che bisognerà capire “cos’è adesso il M5s”; sarà necessario comprendere in quale posizione il segretario del Partito Democratico intende mettersi nei suoi confronti. Se fossi stato un iscritto al Partito Democratico (come lo sono stato fino a un anno fa circa) è il minimo che avrei chiesto.

In altre parole, adesso che Enrico Letta ha assunto il ruolo di segretario, vorrà dare seguito al mandato costitutivo del Partito Democratico ovvero vorrà davvero sostenere un progetto di centrosinistra ampio e inclusivo, oppure proseguire nel solco tracciato dal suo predecessore, Nicola Zingaretti, verso l’abbraccio con il Movimento 5 Stelle?

A giudicare da quanto lo stesso Letta scrive nel suo “Ho imparato” è possibile che le intenzioni siano buone, che siano in qualche modo quelle esortate da Sansonetti nel suo esame pubblicato il 12 marzo ne “Il Riformista”: «Letta – scrive Sansonetti – dovrebbe tentare una operazione complessa ma indispensabile. Riunire la famiglia. Non ha nessun senso che i partiti riformisti del centrosinistra navighino isolati e per di più irosi uno con l’altro. Il Pd può essere un partito contenitore e tenere assieme tutti: Renzi, Calenda, Leu, Bonino. Letta può essere l’uomo giusto per questa operazione.»

Personalmente, anche se mi auspico di essere smentito, dubito che la strada che Letta ha timidamente indicato possa andare in questo senso: dovrebbe raccontare per primissima cosa i fatti del febbraio 2014 chiarendo come siano andate le cose con Matteo Renzi, ingiustamente accusato di averlo silurato. Sarebbe il primo passo per “riunire” il centrosinistra riformista e per sgombrare il campo da dubbi e risentimenti. Lo farà? Staremo a vedere.

E poi, come cosa immediatamente successiva, dovrebbe tentare di fare comprendere, soprattutto alla sua base, quella dei circoli più arrabbiata con Renzi, che il Partito Democratico non è (o non dovrebbe essere) la rivisitazione in chiave moderna del Partito Comunista dello scorso secolo con il quale, anzi, ha ben pochi legami (soltanto legami di uomini nostalgici e, in una qualche misura, reazionari) e precisare, soprattutto, che anche in Italia ci si possa definire “di sinistra” e fare “cose di sinistra” anche se non si è mai stati comunisti.

Insomma, dovrebbe (e potrebbe) tentare di dare seguito al programma illustrato da Walter Veltroni così come ha tentato di fare Renzi. Ne avrà la forza? Ne avrà il coraggio? E, soprattutto, avrà il sostegno della dirigenza democratica per poterlo fare? Ho, personalmente, più di una ragione per dubitarne.

Poi ci sarebbe anche l’altra questione, quella della base “Dem” che vede in Letta una sorta di restauratore del Comunismo e della sinistra massimalista dimenticando (o fingendo di dimenticare) che Enrico Letta nel 2013 ha dato vita al primo governo di larghe intese della cosiddetta Seconda Repubblica.

Eh sì! Riguardiamo per un momento la coalizione di governo Letta rimasto in carica dal 28 aprile 2013 al 21 febbraio 2014: Angelino Alfano (NCD), Dario Franceschini (PD), Graziano Delrio (PD), Carlo Trigilia (PD), Enzo Moavero Milanesi (SC), Gaetano Quagliariello (PdL/NCD), Gianpiero D’Alia (UdC), Cécile Kyenge (PD), Emma Bonino (RI), Annamaria Cancellieri (Indipendente), Mario Mauro (SC/PpI), Fabrizio Saccomanni (Indipendente), Flavio Zanonato (PD), Maurizio Lupi (PdL/NCD), Nunzia De Girolamo (PdL/NCD), Andrea Orlando (PD), Enrico Giovannini (Indipendente), Maria Chiara Carrozza (PD), Massimo Bray (PD), Beatrice Lorenzin (PdL/NCD, poi passata al PD).

Insomma una squadra piuttosto equilibrata tra centrosinistra e centrodestra quella che ha giurato il 24 aprile del 2013 nelle mani di Giorgio Napolitano con molti di quei ministri che hanno poi proseguito il mandato nel governo Renzi e nel governo Gentiloni.

Tuttavia mentre Enrico Letta è ricordato per il famigerato scacco subìto con “#EnricoStaiSereno” in quanto presunta vittima del tatticismo di Matteo Renzi, questi è ancora oggi ricordato per il Patto del Nazareno.

Chiariamo una cosa perché è determinante. Il governo Letta, al contrario di Renzi, ha ricevuto la fiducia del centrodestra. Inoltre, mentre tra Letta e il centrodestra c’è stato un accordo di governo e quindi di condivisione della linea politica e governativa, il Patto del Nazareno (a causa del quale Renzi è stato colpevolizzato di una intesa con Forza Italia) non è mai stato un accordo politico di tipo governativo, ma un accordo utile a perseguire le riforme chieste dal Presidente della Repubblica dal quale Berlusconi si è tirato indietro facendo mancare la maggioranza qualificata in Parlamento tanto da costringere Renzi a chiedere il referendum confermativo.

Ci siamo? Bene! I presupposti affinché Letta possa essere l’uomo che la sinistra comunista attende non credo possano esserci. Più facile, anche se meno probabile, il ruolo di pontefice che Letta potrebbe assumere (se glielo lasceranno assumere) per raggruppare e federare le forze riformiste presenti tanto dentro quanto fuori il PD.

È un compito difficile quello che si è ha detto di volersi assumere da segretario del PD con le dichiarazioni contenute nella sua relazione e, paradossalmente, è reso ancora più difficile proprio dalla pressoché unanimità che ha ricevuto, tanto da essersi sentito in obbligo di chiarire il rischio delle guerre correntizie, incomprensibili per l’elettorato.

Le prossime settimane saranno determinanti per comprendere nei fatti e nelle azioni ciò che Letta intende fare, come intende guidare ciò che resta del Partito Democratico al di là delle parole di apertura nelle quali, anche chi sta all’esterno del PD, stenta a non riconoscersi: «Progressisti nei valori, Riformisti nel metodo, Radicali nei comportamenti» rischiano di restare vuoti proclami se a esse non darà un seguito fattuale, operativo.

Più verosimile sembra essere l’accenno al rinnovamento che ha appena sussurrato dichiarando che «non serve un nuovo segretario, serve un nuovo PD». Un nuovo PD, chi ormai ne osserva dall’esterno la progressiva deriva verso il Movimento 5 Stelle lo vede abbastanza chiaramente, forse Enrico Letta non avrà neanche il tempo di immaginarlo, perché potrebbe essere fagocitato nell’abbraccio populista.

Staremo a vedere.

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