Le riforme si devono fare nell’interesse del popolo, non dei partiti.
Su questo, spero, chi legge non abbia dubbi.
Resta il problema del “come” fare le riforme.
Il quesito referendario del 20 e 21 settembre prossimi non dev’essere interpretato in chiave tecnica, ma politica. Le ripercussioni della amputazione della nostra democrazia, infatti, hanno poco a che vedere con sofismi costituzionali e riguardano la gente comune molto di più di quanto si possa immaginare.
Partiamo dai fatti chiari e documentati che abbiamo a nostra disposizione per una lettura politica del cosa sappiamo, del cosa non sappiamo e del cosa possiamo immaginare. La questione è tutta qui ed è tutt’altro che tecnica. Prego soltanto chi volesse obiettare quanto espongo di leggere fino alla fine e poi, eventualmente, esporre le sue considerazioni.
Sappiamo che 1) la proposta della riduzione del numero dei parlamentari è nel programma della Lega Nord – Salvini Premier; 2) il progetto politico di Salvini è stato introiettato dal Movimento 5 stelle con il Contratto di Governo che ha fatto nascere il primo governo Conte; 3) alcuni esponenti del Movimento 5 stelle hanno cambiato idea ed hanno pensato di trasformare il loro schema di risparmio sulla politica virando dal taglio dei costi al taglio delle teste; 4) il Movimento 5 stelle ha iniziato la fase di declino politico e ha immaginato di soffiare sul malcontento della gente sventolando il taglio delle teste come soluzione ai mali della politica; 5) al momento della formazione del governo Conte 2 è stato sostanzialmente imposto al Partito Democratico un cambio di rotta ed è stata posta la nascita stessa del governo sotto la condizione della approvazione della legge di riforma costituzionale; 6) i collegi elettorali, per effetto di una banalissima operazione aritmetica, saranno talmente vasti da rendere molto difficile la conoscenza anche del solo nome dei futuri candidati.
Questo è ciò che sappiamo e nulla di tutto questo richiede particolari competenze tecniche per poter essere valutato; semmai richiede un minimo di spirito di osservazione e di memoria recente dei fatti accaduti.
Vediamo ciò che non sappiamo
Non sappiamo 1) perché il Partito Democratico ha deciso, con le sue donne e uomini migliori, di appiattirsi su una indigesta riforma costituzionale che di colpo violenta la linea politica del partito. Alcuni sostengono che l’abbia fatto per non tradire i patti stretti al momento della formazione del governo, ma è una giustificazione debole che comunque non regge il confronto con la linea riformista (quella vera) che il PD ha seguito fin dalla sua nascita; 2) quali siano i reali vantaggi per i cittadini derivanti dalla drastica riduzione (36%!!!) della rappresentanza popolare in parlamento. È ovvio che la favoletta del risparmio economico ormai non regge più perché è stata ridicolizzata dai calcoli fatti, per esempio, da Cottarelli; 3) quale possa essere l’evoluzione del sistema parlamentare e in che modo i cittadini voteranno i propri rappresentanti istituzionali visto che si dovrà necessariamente spostare la legge elettorale sul proporzionale puro, già bocciato dagli italiani con altro referendum a favore del maggioritario, che è il vecchio sistema elettorale degli anni ’70, ’80 e ’90, foriero di “inciuci” e “manovre” di palazzo; 4) in che tempi riuscirà il Parlamento a elaborare una nuova legge elettorale in grado di garantire tutti i cittadini.
Questo è ciò che non sappiamo e, ancora una volta, nulla di tutto ciò richiede specifiche o sofisticate competenze giuridiche.
A questo punto, valutato ciò che sappiamo e che non sappiamo, diventa interessante discutere su ciò che possiamo immaginare.
Partiamo dai bacini elettorali. I collegi saranno per forza di cose molto ampi se si vorranno adeguatamente e proporzionalmente rappresentare tutti i cittadini in Parlamento. Ciò determinerà da una parte l’eccessiva diluizione della rappresentanza vera e propria e, dall’altra, un più esasperato controllo dei candidati da parte dei partiti: difficilmente i capi politici o i segretari (chiamateli come volete) accetteranno di candidare potenziali dissidenti dalla loro personale visione politica, anche se tali candidati, tali donne e tali uomini, avranno dimostrato qualità, senso di appartenenza e senso di prossimità ai cittadini. I candidati saranno espressione esclusivamente delle segreterie politiche. Inoltre, proprio in ragione della ampiezza dei collegi l’impegno economico che ogni candidato dovrà sostenere sarà importante per cui potranno essere candidati soltanto donne e uomini particolarmente abbienti, ricchi sfondati, oppure – e più verosimilmente – saranno candidati donne e uomini che dovranno essere espressione di gruppi di potere (le lobbies). Quindi la risultante politica della riduzione del numero dei parlamentari non sarà ciò che la gente immagina, ovvero un Parlamento più vicino alle necessità del popolo; al contrario sarà un Parlamento particolarmente vicino alle aspettative dei gruppi di interesse che avranno firmato gli assegni per finanziare le campagne elettorali dei candidati. L’operazione non solo è populista (perché suscita gli istinti più bassi del popolo) ma è anche truffaldina perché inganna il popolo; quasi una circonvenzione d’incapace!
Andiamo avanti, però, nella lettura politica della vicenda; chi vince e chi perde? Tutti i segretari politici (o capi politici, chiamateli come vi pare) hanno da guadagnare da questa operazione; in particolare, però, hanno da guadagnare le attuali opposizioni (Meloni e Salvini soprattutto). Il paradosso della vicenda è che le opposizioni potrebbero ricevere un vantaggio sia che vinca il Sì, sia che vinca il No: nel primo caso avranno la possibilità (soprattutto la Lega Nord) di tirare fuori dal loro cilindro l’origine della proposta contenuta nei loro programmi; nel secondo caso, ovvero in caso di vittoria dei No, potranno fare leva per abbattere il governo Conte 2 prima del semestre bianco previsto per luglio 2021. Si consideri che anche Giorgia Meloni ha nel suo programma elettorale (punto n. 15) la riduzione del numero dei parlamentari che, però, in modo sagace e attento, ha subordinato alla trasformazione del sistema repubblicano da parlamentare a presidenziale e al superamento del bicameralismo perfetto.
E i vantaggi per il cittadino? Difficilmente ci potranno essere, mettetevi l’anima in pace. Come abbiamo immaginato – e questo è particolarmente importante per il Meridione d’Italia – il Parlamento potrebbe diventare il luogo di prevalente rappresentanza dei gruppi di interesse che, di tanto in tanto, potrebbe elargire qualche concessione alle fasce più deboli della cittadinanza (un novello reddito di sudditanza!) con poche aperture al sociale, alla tutela della salute giacché sono aspetti costosi della macchina pubblica sui quali c’è poco da guadagnare. Inoltre non sarebbe assurdo immaginare (se le cose andranno come potrebbero andare) una ancora più vigorosa spinta in senso federalista con un peggioramento del già grave divario tra nord e sud del Paese.
Opporsi a questa riforma arrangiata alla meno peggio non è né conservatorismo, né casta, né ottusità. Chi oggi si oppone alla riforma, chi si sta battendo affinché la rappresentanza popolare (almeno fino a una riforma seria delle istituzioni) non sia perduta lo sta facendo a salvaguardia degli interessi del popolo che le forze populiste (M5s, Lega e – a questo punto – PD) stanno, forse inconsapevolmente, mettendo in pericolo.
Ovviamente non spetta a me che non sono tecnico entrare nella spiegazione dei verosimili malfunzionamenti delle istituzioni, dalle commissioni ai lavori d’aula: altri costituzionalisti “veri” e competenti c’hanno pensato e lo hanno ampiamente spiegato.
Per come la vedo (in termini esclusivamente politici e non tecnici) il nostro Paese con questa “riformicchia” tornerà indietro di trent’anni, ai tempi del “pentapartito”, dei “caminetti”, degli “inciuci”. Davvero è nell’interesse del popolo tutto ciò?