Gli effetti, a volte devastanti, delle riforme costituzionali sono molto spesso visibili dopo lunghi anni di deriva e di malfunzionamento degli Stati.
Così è stato, per esempio, con la riforma costituzionale del 2001 il cui effetto più destruente per i cittadini è stato la sottrazione del Servizio Sanitario dal controllo dello Stato per assegnarlo alle Regioni.
Credo sia utile fare un breve ripasso di storia recente.

La Riforma del Titolo 5º della Costituzione, è stata realizzata nel 2001 dal Governo Amato con la legge costituzionale n. 3, fortemente voluta dall’allora segretario del PDS Massimo D’Alema il quale ha cercato di inseguire la Lega Nord di Umberto Bossi nella sua spinta federalista nel tentativo di arginarla e di combatterla sul suo stesso terreno. Quella riforma, della quale soprattutto i meridionali hanno pagato e tutt’ora pagano le conseguenze, è oggi considerata dagli stessi uomini di sinistra più illuminati una riforma sbagliata. Essa ha una storia complessa che penso sia giusto ripercorrere seppur brevemente.

Uno dei più convinti autonomisti del PDS è stato Franco Bassanini e tra il 1997 e il 1998 – al tempo della sua guida al Ministero della Funzione Pubblica – ha iniziato a decentrare funzioni dello Stato verso le Regioni e gli Enti Locali nella convinzione che questo decentramento potesse alleggerire lo Stato dal peso della burocrazia. In realtà il decentramento non ha diminuito il carico burocratico statale, ma ha al contrario aumentato i centri di potere soprattutto locali, periferici.
Il decentramento delle funzioni con conseguente polverizzazione di competenze è stato alla fine sublimato nella legge di riforma costituzionale n. 3/2001, la quale è stata definitivamente approvata con il primo referendum confermativo della storia repubblicana. In quel referendum hanno votato soltanto il 34,1% degli aventi diritto, il 64,2% dei quali si è espresso per la conferma di tale riforma.
Facendo due calcoli, il 34,1% dei 49.462.222 aventi diritto sono stati, al netto dei voti non convalidati che hanno inciso per il 3,5%, appena 10.433.574 di elettori ovvero il 21% degli aventi diritto.
In pratica un italiano ha deciso anche per altri quattro.
Questa, in estrema sintesi, la storia. Vediamone gli effetti.

L’effetto più catastrofico della riforma del 2001 è stato il decentramento del Servizio Sanitario dalla competenza statale a quella regionale: per effetto della riforma le Regioni hanno iniziato a occuparsi della salute dei propri cittadini secondo criteri diversi – a volte molto diversi – nelle diverse parti del Paese: in alcune aree con la netta prevalenza di un sistema concorrenziale pubblico-privato eccessivamente sbilanciato verso il privato; in alcune parti con Livelli Essenziali di Assistenza (i famosi LEA) assunti in deroga alle direttive del Ministero; in altre parti del Paese sono stati inseriti i “Super-Ticket” mentre altre regioni hanno iniziato a tagliare sui costi soprattutto di personale, in particolare nel Meridione d’Italia. L’argomento è complesso, naturalmente, e questo breve spazio non è adeguato a svilupparlo (chi volesse potrà approfondire in uno dei miei lavori sul Servizio Sanitario). Ciò che mi preme qui evidenziare sono aspetti che, a distanza di vent’anni, si ripropongono con le medesime caratteristiche.

La forza populista emergente nel 2001 (sì, lo è stata fin dall’inizio con il “celodurismo” di Umberto Bossi) è stata indubbiamente la Lega Nord, capace di “parlare” ai più bassi istinti del suo elettorato: dall’intolleranza verso i meridionali fino alla definizione di Roma-Ladrona, ecc. Il PDS è stata la forza politica che, per inseguire la Lega Nord di Bossi, ha dato seguito alla peggiore trasformazione della Costituzione della nostra Storia realizzando, nei fatti, a dispetto di quanto disposto dalla stessa Carta, profonde differenze di trattamento e di cura tra i cittadini dello stesso Stato.
Oggi la forza populista emergente è l’asse M5s-Lega e, ancora una volta, la sinistra riformista, che nel frattempo ha perduto una “s” ed è diventata PD, si è messa a inseguire tale deriva nel tentativo di combattere quel populismo sul suo stesso terreno in una sorta di equivalenza per cui D’Alema sta a Zingaretti come Bossi sta a Di Maio/Salvini. E differenze non ce ne sono poi così tante, in fin dei conti. Soprattutto considerando il fatto che, anche questa riforma costituzionale, la riduzione drastica del numero dei parlamentari, sulla quale saremo chiamati a esprimerci il 20 e 21 settembre, è uno dei punti della Lega di Salvini che è stato solo successivamente al Contratto di Governo introitato dal Movimento 5 Stelle.

Oggi il Partito Democratico sta ripercorrendo con Nicola Zingaretti (e con il suo seguito) gli stessi errori che vent’anni fa ha commesso Massimo D’Alema (e il suo seguito): il segretario del maggiore partito di opposizione al populismo leghista e pentastellato sta immaginando di combattere la demagogia allineandosi sulla scia nella speranza di mantenere un ruolo di rilievo, magari derivante dalle nozze con Grillo. Le ragioni per cui il segretario del PD ha scelto questa linea sono piuttosto evidenti e, entro una certa misura, anche abbastanza logiche, ma queste ragioni si esauriscono nella più infima delle motivazioni: il mantenimento del potere!

Personalmente ho un’idea della politica sostanzialmente diversa da quella del leader democratico: ritengo che il politico debba fare delle scelte (talvolta anche difficili) sempre nel presupposto del bene collettivo. Il politico deve, come ebbero a dire personaggi sicuramente più illuminati di me, pensare e scegliere pensando ai prossimi cinquant’anni di storia e non ai prossimi cinque, tempo medio che intercorre tra una elezione e l’altra.

Vorrei poter mandare un messaggio al vasto popolo del Partito Democratico: Il populismo non si può combattere con il populismo; esso va battuto con scelte politiche che facciano il bene del popolo e non del partito. Ecco perché è necessario, è indispensabile, è vitale per la sinistra riformista fermare questa deriva. Non possiamo accontentarci di una scelta personale votando No a questo referendum; dobbiamo essere la voce che urla spiegando le ragioni sopra gli slogan; dobbiamo essere una valanga che risale una montagna di falsità e bugie che, in questi ultimi anni, hanno avvelenato l’arte nobile della politica.

Siamo e siate diversi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *