Comunque vadano le cose, qualunque sia l’esito della consultazione referendaria, l’Italia dovrà dotarsi di una legge elettorale. L’arco parlamentare o, almeno, la maggioranza attuale, pare essere orientata per un ritorno al proporzionale puro, quello della prima Repubblica, degli inciuci e dei caminetti. E pare volerci ritornare nonostante l’orientamento popolare sia stato diverso. La scelta referendaria del 1993, infatti, ha sancito che gli italiani hanno scelto il sistema maggioritario, poi reso legge elettorale dal Presidente Sergio Mattarella. Ne ho parlato ieri qui e non ci torno.

Ho imparato che la Politica è visione, idee, a volte carisma, è sicuramente spirito d’iniziativa e coraggio (non ne vedo tantissimo in giro) ed è intraprendenza. E, naturalmente sono richieste anche le capacità, la cultura e il senso della misura, oltre al rispetto delle decisioni popolari e, naturalmente, l’onestà (intellettuale e materiale), ma quelle le darei per prerequisiti scontati.

Partendo da questi presupposti, ovvero il rispetto della volontà popolare (in questo caso orientata al sistema maggioritario), ho immaginato una possibile legge elettorale in senso maggioritario “spinto” che possa garantire, oltre alla rappresentatività, la governabilità del Paese. Per assecondare tali requisiti sembra quasi indispensabile ricorrere (vista l’attuale frammentazione dell’arco parlamentare) al “premio di maggioranza” e al “ballottaggio”. Tuttavia, per spingere ancora di più il sistema maggioritario, credo sia necessario applicare un doppio turno anche ai singoli collegi.

Tecnicamente farei così, ricordando, prima di tutto a me stesso, che le leggi elettorali sono strumenti che la politica mette a disposizione del popolo affinché scelga i propri rappresentanti e non totem ideologici, né – tantomeno – oscuri meccanismi coi quali raggirare gli elettori.

Ho immaginato di poter applicare le due condizioni ai singoli collegi elettorali, non solo in termini di premio di maggioranza (che ho arbitrariamente posto al 20% dei seggi, ma se ne può discutere), ma – e qui sarebbe la novità – anche di doppio turno per i singoli parlamentari in competizione: in pratica in un dato collegio, se nessuno dei candidati delle coalizioni in competizione, raggiungesse la maggioranza assoluta dei voti, i primi due dovrebbero contendersi il seggio in un successivo ballottaggio.

Partiamo dai dati preliminari. Analizzando gli ultimi elementi disponibili, ovvero quelli delle elezioni 2018, gli elettori aventi diritto per la Camera dei Deputati in Italia sono 46.605.046 e per il Senato della Repubblica 42.870.908; i seggi da eleggere (senza considerare le circoscrizioni estere) alla Camera dei Deputati sono 618 e al Senato della Repubblica sono 309. Facendo gli opportuni calcoli si dovrebbe dire che ogni deputato è stato eletto da 75.413 elettori, mentre ogni senatore è stato eletto da 138.741 elettori.

Nel caso passi la riforma questi rapporti, naturalmente, cambierebbero: un singolo deputato dovrebbe essere eletto da 116.000 aventi diritto e un singolo senatore da 214.354 elettori, a meno che non si voglia rendere ancora più paritario il bicameralismo abbassando l’età per l’elettorato attivo al senato ai 18 anni, per cui un singolo senatore sarebbe eletto da una platea di 232.000 aventi diritto. Numeri pazzeschi.

Su questa base e immaginando un premio di maggioranza al 20% si potrebbe dire che, nel loro insieme, i cittadini dovrebbero eleggere 494 deputati e 247 senatori con il proprio voto diretto, mentre 124 deputati e 62 senatori sarebbero eletti grazie al premio di maggioranza oppure, nel caso della vittoria dei Sì al referendum i cittadini dovrebbero eleggere 320 deputati e 160 senatori con il voto diretto, mentre 80 deputati e 40 senatori sarebbero beneficiari del premio di maggioranza.

In questo sistema che ho immaginato ogni coalizione dovrebbe poter presentare per ogni collegio due liste: una per il collegio maggioritario con un unico candidato ed una, per esempio su base regionale, con un numero di candidati pari a quelli potenzialmente eletti con il premio di maggioranza nella quale, naturalmente, non dovrebbero essere inseriti i candidati nelle liste maggioritarie.

Il punto da cui sono partito per questa analisi è la stima del numero degli elettori presenti in ognuna delle venti Regioni italiane in rapporto alla massa globale della base elettorale per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica. Il sistema replica sostanzialmente quello della elezione dei Sindaci e, se fosse applicato ai singoli collegi e se fosse inibita la pluricandidatura, garantirebbe che l’eletto sia realmente espressione della volontà popolare.

Non sono naturalmente né un giurista, né un costituzionalista per cui mi avventuro in un ambito del quale ho solo una visione complessiva e non tecnica, ma ho voluto esprimere una idea di un sistema elettorale capace di dare un governo stabile al Paese e, insieme, garantire la rappresentatività del Popolo.

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