Siamo (ancora) in tempo per scegliere se comportarci da sciocchi oppure tirare fuori gli attributi per scegliere e l’intelligenza per capire.

Il Movimento 5 Stelle ci sta proponendo di votare Sì al referendum per ratificare il consenso qualificato ottenuto soltanto nell’ultima votazione alla Camera dei Deputati per il disegno di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari.

Nessuno di loro ci racconta, però, che questa cattiva riforma inchioderà le nostre istituzioni al bicameralismo perfetto, paritario e, prossimamente, simmetrico; e nessuno ammette che questa riduzione porterà acqua al mulino prevalentemente, se non esclusivamente, dell’ultradestra sovranista di Salvini e Meloni.

Ieri mattina ho pubblicato un articolo partendo dall’analisi dell’Istituto Cattaneo del 31 agosto 2020. In tale analisi gli statistici rapportano la riduzione del numero dei parlamentari alle intenzioni di voto degli italiani che, appunto, potrebbe esitare – per via della distribuzione dei collegi derivante dalla nuova legge elettorale con impianto proporzionale – in un vantaggio enorme per la Lega.

Del resto ho più volte spiegato che la riduzione numerica oggi voluta dal Movimento 5 stelle è uno dei punti del programma con il quale Salvini si è presentato agli elettori nel 2018 e che tale riduzione è stata assimilata nei programmi del primo governo Conte alla sua nascita con il famigerato contratto di governo.

Ciononostante l’antipolitica di Di Maio continua a spingere affinché gli italiani si esprimano ratificando con il loro consenso referendario l’accordo del Movimento 5 Stelle con la Lega al quale il PD ha dovuto piegarsi pur di far nascere il governo Conte 2.

Le ragioni di tale indicazione hanno poco o nulla a che fare con il risparmio o con il miglioramento delle istituzioni; tali ragioni sono state tutte sistematicamente smentite. Esse sono piuttosto, a mio personale avviso, di natura squisitamente contingente, politica.

Qualora tale riduzione venisse ratificata, assisteremmo infatti all’avanzata del centrodestra con percentuali (previste) bulgare di consenso, tra il 51 e il 55%, con una netta prevalenza nell’ambito del centrodestra della Lega e di Fratelli d’Italia.

La natura propria del Movimento 5 stelle (ce lo hanno dimostrato fino alla nausea per esempio Alessandro Di Battista e lo stesso Luigi Di Maio, per non parlare di Mario Michele Giarrusso) è molto vicina alla destra sovranista di Salvini e di Meloni la quale ultima, al momento, esclude qualsiasi possibilità di convergenza con il Movimento 5 Stelle. Al momento, appunto.

Lo scenario immaginato dal Cattaneo prevede una prevalenza del centrodestra sbilanciata verso l’ultradestra protezionista e nazionalista di Salvini e Meloni (per inciso, in Valle d’Aosta corrono in una lista unitaria) debolmente temperata da Forza Italia, partito spostato più verso un centro moderato che verso l’estrema destra.

Ciò che l’istituto non ha valutato è la futuribile (più che futuristica) coalizione a tre, comprendente Lega, FdI e M5s, almeno nelle componenti sovraniste proprie di moltissimi esponenti di spicco del Movimento. Del resto le posizioni del M5s in tantissime occasioni sono state e sono molto prossime a quelle di Giorgia Meloni per cui nella valutazione degli scenari possibili è necessario immaginare anche questa soluzione.

Percentuali alla mano (sempre valutate sulle intenzioni di voto) si determinerebbe una schiacciante maggioranza della destra nazionalista e antieuropeista sulle forze riformiste (vere) più orientate alla visione di sussidiarietà degli Stati europei.

Facciamo due somme. La Lega di Salvini è stimata al 25,8%, Fratelli d’Italia al 14,8% e il M5s al 15,8%; significa che il 56,4% dell’arco parlamentare sarebbe nelle mani dei nazionalisti e significa anche che le modifiche alla Costituzione (che richiedono – per adesso – la maggioranza qualificata) saranno possibili con pochi parlamentari.

Spieghiamo meglio questo concetto: alla Camera una alleanza dei sovranisti per come la stiamo ipotizzando otterrebbe (seggio più, seggio meno) 225 seggi su 400, mentre al Senato ne otterrebbe 113. La maggioranza qualificata alla Camera sarebbe di 266 voti, mentre al Senato sarebbe di soli 134 voti.

Considerati questi numeri, per le modifiche della Costituzione sarebbe sufficiente per Salvini “racimolare” 41 voti alla Camera e solo 21 al Senato che potrebbero arrivare, per esempio, da qualche insoddisfatto di Forza Italia. Sono numeri molto risicati e pericolosi che mettono a rischio la tenuta democratica e (nonostante possa apparire di secondaria importanza) la stessa permanenza dell’Italia nell’Eurozona.

Qualcuno – me l’aspetto – potrebbe obiettare che una coalizione del genere sia impossibile soprattutto per Fratelli d’Italia, ma in politica non ci si può permettere di ignorare ogni eventualità, per quanto remota essa sia. Del resto Matteo Salvini dal Papeete s’è giocato il ruolo di governo scommettendo su un “mai” che è stato smentito dai fatti (e dalle capacità politiche di Renzi).

Qualcun altro potrebbe obiettare che ci vorrebbe l’accordo dei parlamentari per ottenere una tale coalizione. Falso. Con la riduzione numerica saranno i segretari di partito (e Casaleggio) a piazzare nei posti chiave i loro Yes-Man, i loro fedelissimi che accetteranno qualsiasi indicazione proveniente dalle segreterie. A questo servono i listini bloccati supposti nella legge elettorale che il Parlamento starebbe per partorire!

Credo che, a pochi giorni dalla consultazione referendaria, questi conti gli elettori li debbano fare perché potremmo mettere a rischio la nostra credibilità internazionale e consegnare il Paese in mani più pericolose di quelle degli incapaci 5 stelle: le mani di Salvini e Meloni convinti antieuropeisti e convinti nazionalisti.

Altro che sinistra salviniana!

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