Sono convinto che sia necessario fare uno sforzo per capire le persone, gli elettori, che il 20 e 21 settembre si recheranno alle urne per esprimere il proprio dissenso verso la politica assecondando la peggiore riforma delle nostre istituzioni mai pensata. In altri interventi ho chiarito le mie ragioni politiche e istituzionali contro (decisamente contro!) questa riforma; qui mi interessa di più cercare di analizzare le ragioni di chi quel taglio lo vuole a tutti i costi, ma che, per spiegarlo, non riesce a andare oltre il “sono troppi”. Ritengo che, per poter cercare di comprendere queste ragioni non si possa fare a meno di illustrare l’idea che personalmente ritengo corretta di Politica da contrapporre a quello che è il comune sentire e il comune giudizio della politica.

Qual è, allora, il ruolo della Politica? Cosa chiede oggi (e anche ieri e, probabilmente anche domani) la maggioranza dei cittadini alla Politica? Qual è il ruolo che gli italiani le assegnano? Se non proviamo a interrogarci su questo e se non cerchiamo di dare risposte chiarificatrici, difficilmente potremo convincere i nostri avversari referendari sugli errori di questa riforma.

Chiarisco subito che io credo che la Politica abbia (o debba avere) ruolo determinante nel creare le condizioni migliori di sviluppo dei cittadini. Deve farlo attraverso decine di canali che, tuttavia, in sintesi, passano per pochi punti essenziali: garantire a tutti i cittadini l’adeguata istruzione, garantire a tutti i cittadini le migliori possibilità di vivere in salute; garantire a tutti i cittadini una opportunità di sviluppo. I primi due aspetti non penso abbiano bisogno di essere chiariti giacché sono di quasi immediata comprensione; l’ultimo punto merita un breve approfondimento.

Quando si cerca di utilizzare le poche risorse a disposizione che in questi anni abbiamo avuto, è necessario che gli investimenti siano indirizzati nel migliore dei modi possibile, che gli sprechi siano il più possibile contenuti (evitarli del tutto sarebbe l’ideale, ma non sempre è possibile) e uno Stato dovrebbe prevalentemente, in tale contesto, cercare spazi di sviluppo per i cittadini cercando di ottenere il massimo della resa con il minimo (o più ragionevole) investimento. Da cittadino ed elettore, se la politica e le istituzioni mi garantissero questo, potrei ritenermi soddisfatto. Tale quadro che, in linea assolutamente generale, ho cercato di illustrare, risponde a logiche politiche e non banalmente tecniche perché la diversa visione di Stato, di organizzazione dei servizi, così come la ripartizione degli organi di governo e le leggi che ne derivano devono essere il frutto di una idea “politica”, altrimenti cadiamo nella amministrazione e non eleviamo a dignità di “governo” il concetto. Ora se volessimo brevemente ragionare per un attimo su questo aspetto, ci renderemmo conto che in questo momento si stanno fronteggiando due visioni contrapposte di Stato : da una parte ci sono gruppi politici che, urlando le proprie ragioni stanno soffiando sul fuoco dei bisogni primari dei cittadini proponendo diverse chiavi di assistenzialismo, dall’altra altri gruppi politici che, con l’arte della mediazione, delle buone relazioni internazionali, propongono di porre nelle condizioni di crescita il Paese facendolo evolvere tanto nei diritti quanto nel benessere sociale attraverso, per esempio, corretti investimenti in infrastrutture, edilizia pubblica, grandi opere, ecc.

Se guardassimo alla nostra storia unitaria le più grandi conquiste non sono state fatte “con le armi” ma con la raffinata arte della mediazione e coi buoni rapporti internazionali. L’Italia Unita, nei fatti, è più un’opera di Cavour che di Garibaldi anche se, nell’immaginario popolare, l’eroe dei due mondi è visto come il Generale che ha unito il nord al sud dello stivale. Ma resta un eroe che, forse azzardando un pochino, possiamo definire “populista”.

Questa lunga premessa è stata necessaria per comprendere un fatto importante: l’idea del ruolo dello Stato che i nostri concittadini hanno o che sono stati indotti a avere. Lo Stato assistenzialista, che elargisce redditi a pioggia (o quasi), che perde forza lavoro per favorire poche centinaia di pensionamenti senza, dall’altra parte, creare opportunità per le generazioni più giovani, lo Stato a cui ricorrere per ottenere piccoli privilegi personali (di qualsiasi natura) è uno Stato destinato a fallire. Questa idea di Stato, con ogni probabilità, sta alla base del risentimento popolare dei cittadini nei confronti di una classe politica che non può più concedere deroghe al proprio superiore ruolo, che non può più creare sacche di investimento improduttivo, che non può più creare “stipendifici” in cambio di consenso. La questione, infine, si risolve a questo, a ciò che i cittadini vogliono dalla politica. Assistenzialismo e limitate possibilità di miglioramento civile e sociale, oppure azioni ragionate per migliorare le condizioni della collettività? I cittadini che hanno la visione assistenzialista dello Stato sono legittimati a esprimersi in termini punitivi per una classe politica che non può più permettersi di promettere; i cittadini che vedono la Politica come servizio di donne e uomini illuminati al servizio della collettività accetteranno di sprecare 0,95 centesimi di euro l’anno per mantenere democrazia e sviluppo.

Ciò su cui saremo tra poco chiamati a decidere sarà proprio questo, infine: consegnare il Paese al populismo demagogico grillino e leghista, oppure optare per la Politica che abbia una visione; tra l’esercito e la diplomazia; tra Garibaldi e Cavour.

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